La classificazione dei rifiuti e le nuove linee guida SNPA

Nonostante il tempo passi, le norme si evolvano e spesso vengano rimarcati obblighi già stabiliti in precedenza, anche se per qualcuno sembrano essere del tutto nuovi con sua somma sorpresa, di tanto in tanto occorre ritornare a parlare di argomenti fondamentali, nel settore della gestione dei rifiuti, affinché se ne comprenda l’importanza e le sue implicazioni.

Quando si parla di “gestione dei rifiuti”, infatti, spesso si pensa semplicemente all’azione del Produttore (azienda) che affida i propri rifiuti al trasportatore che li conferirà in un qualche impianto ignorando di fatto tutti i passaggi necessari affinché ciò avvenga in sicurezza e soprattutto le responsabilità connesse ad ogni singolo soggetto della filiera.

Al fine di poter garantire in ogni impresa una corretta gestione dei rifiuti, il primo passo da compiere è una lettura attenta delle norme e relative disposizioni, circolari e documenti tecnici inerenti, al fine di avere un quadro completo della situazione evitando, di passare da un eccesso di “leggerezza” circa le proprie responsabilità ad un eccesso di burocratizzazione delle procedure che potrebbero essere controproducenti in alcuni casi.

Il primo aspetto che un Produttore di rifiuti deve analizzare, per una corretta gestione ambientale, è la classificazione dei rifiuti

Spesso si tende a semplificare troppo la “classificazione dei rifiuti” riducendo l’attività, di per sé articolata e complessa in alcuni casi, alla semplice attribuzione del codice CER al rifiuto che, nei casi migliori viene fatta dal Produttore, nei casi peggiori invece viene invece demandata a soggetti terzi non sempre in possesso di competenze e conoscenze tali da poter svolgere questa attività in modo corretto. Quest’ultima prassi denota una mancata comprensione delle motivazioni e delle responsabilità che il legislatore ha posto proprio in capo al Produttore quale soggetto principale della filiera.

La delega a terzi delle attività di classificazione dei rifiuti ricordiamo non sono vietate dalla norma ma, come per tutte le attività delegate a soggetti terzi, è bene che il delegante verifichi quali siano le effettive competenze del soggetto delegato e quali sono le proprie responsabilità in materia.

Le ultime modifiche introdotte dal D.Lgs. 116/2020 hanno destato particolare attenzione sul tema, benchè tuttavia l’obbligo di classificazione fosse già da tempo introdotto e le sentenze emesse nel corso degli anni ne sono la prova.

Ne riportiamo un esempio: Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 47288 del 21 novembre 2019 (ud. del 29 marzo 2019)

Ma cosa è la classificazione dei rifiuti?

Potremmo definirla come il complesso delle attività tecnico-normative tese a caratterizzare il rifiuto dal punto di vista chimico-fisico al fine di poter attribuire il corretto (o meglio, il più vicino possibile, vista l’impossibilità di adeguare il Catalogo Europeo dei Rifiuti all’avanzamento tecnico-scientifico) codice CER e le eventuali caratteristiche di pericolo.

Come si evince dal periodo precedente, la classificazione dei rifiuti è un’attività articolata in più fasi e dovendo analizzare una serie di aspetti tipici e propri del rifiuto prodotto, richiede conoscenze multidisciplinari.

Al fine di rendere più lineare l’approccio alla classificazione dei rifiuti riteniamo sia utile provare a scindere il termine “classificazione” inteso in senso lato dal legislatore in due attività che seppur distinte si sovrappongono facilmente nel corso della loro esecuzione.

Da un punto di vista logico potremmo quindi definire:

  • Caratterizzazione come il complesso di operazioni che mirano, attraverso un’analisi tecnica, ad individuare le caratteristiche chimico-fisiche del rifiuto e le sue eventuali caratteristiche di pericolo.
  • Classificazione come l’operazione di ricerca ed attribuzione del codice CER al rifiuto

Scindendo in questo modo le due attività ben si comprende come non sia possibile giungere all’attribuzione immediata del codice CER senza passare per una conoscenza profonda (caratterizzazione) del rifiuto.

E’ chiaro che non per tutti i rifiuti verrà richiesto un approfondimento al fine di individuare il corretto codice CER, ma se pensiamo ai rifiuti derivanti da processi artigianali ed industriali ci si rende conto che la questione si fa più complessa.

Ed è proprio questa complessità che ha condotto, giustamente, il Legislatore ad attribuire al Produttore l’obbligo di procedere alla caratterizzazione e classificazione dei propri rifiuti. Il Produttore è infatti l’unico conoscitore dei propri processi produttivi, delle materie prime coinvolte, degli scarti generati dai processi, delle relative quantità ecc..

Tutto quanto premesso, risulterà oltremodo difficile ipotizzare che un terzo soggetto possa agevolmente attribuire il CER corretto a rifiuti partendo unicamente da una semplice analisi visiva dei rifiuti o dal codice ATECO dell’impresa e senza possedere determinate competenze tecniche e profonda conoscenza dei processi produttivi aziendali da cui si originano i rifiuti.

Occorre infatti considerare le conseguenze che possono innescarsi a valle di una attribuzione arbitraria del codice CER:

  • Sanzioni per errata classificazione del rifiuto
  • Errato impianto di destino con il rischio di respingimento del carico
  • Costi più elevati di conferimento

Cerchiamo ora brevemente di mettere in evidenza le principali motivazioni per le quali è corretto che il Produttore effettui la caratterizzazione e la classificazione dei rifiuti.

  1. Conoscenza dei processi di produzione. Si è già affermato che il Produttore è l’unico conoscitore dei processi produttivi che giungono a generare degli scarti che quindi possono divenire rifiuti. Ne discende pertanto che non possono essere altri soggetti ad effettuare questa classificazione salvo la necessità di studiare, preliminarmente, i processi aziendali;
  2. Autorizzazioni impianto di destino. Anche se ai più ancora non è chiaro, gli impianti di destino dei rifiuti non sono tutti uguali. Essi differiscono per tipologia autorizzativa, tipologia di rifiuti che possono accettare, tipologie di trattamento che possono svolgere sui rifiuti (recupero o smaltimento, termini che non sono sinonimi), vincoli nell’accettazione in funzione di determinati parametri chimici ecc….

Ciò vuol dire che caratterizzare correttamente un rifiuto condurrà il Produttore o il soggetto terzo al quale si affida, ad esempio l’intermediario, ad individuare il più idoneo impianto di destino.

Ad esempio, ma è solo un caso molto generico, non possiamo dimenticare il principio di gerarchia di gestione dei rifiuti che dovrebbe far propendere le imprese ad optare quanto più possibile per soluzioni di riciclo e recupero dei rifiuti lasciando come opzione residua quella dello smaltimento (ora dovrebbe essere più chiaro come mai non sono sinonimi i termini di cui sopra). Si potrebbe anche prendere in considerazione il caso di quelli impianti autorizzati in procedura semplificata vincolati, secondo il DM 5 Febbraio 1998, ad accogliere rifiuti caratterizzati da un determinato codice CER e proveniente da specifiche attività. Chiaramente in questo caso entriamo anche in un’altra sfera di responsabilità che sono quelle determinate dalla necessità, per il Produttore, di controllare le autorizzazioni dell’impianto di destino prima che il rifiuto venga affidato al trasportatore.

  • Riciclaggio dei rifiuti. In questi ultimi anni si parla molto di green economy, riciclo dei materiali, materie prime seconde in sostituzione di quelle vergini, ma ciò che spesso non si comprende è che affinché ciò possa avvenire la prima azione deve essere compiuta a monte ovvero nel momento in cui “classifichiamo” i nostri rifiuti per avviarli al corretto destino e ciò è valido sia in ambito domestico che in ambito aziendale.
  • Aspetto economico. Spesso si tende a pensare che optando per l’attribuzione del codice CER pericoloso, in via cautelativa, ai rifiuti si evitino i costi delle analisi chimiche. Un rifiuto pericoloso però in genere ha dei costi di conferimento più elevati. Se si prendesse in considerazione un processo produttivo continuo dal quale vengono generati rifiuti, l’effettuazione di una attività completa di caratterizzazione e classificazione dei rifiuti potrebbe invece risultare più economico per l’impresa e con rischi più ridotti.
  • Applicazione principio di precauzione. Tale aspetto è direttamente collegato al punto precedente. L’applicazione del principio di precauzione con relativa attribuzione del codice CER pericoloso al fine di ridurre i costi delle analisi chimiche e delle attività di classificazione del rifiuto. Come già indicato al punto precedente il risparmio ottenuto dalle mancate analisi chimiche potrebbe non essere compensato dai costi di conferimento del rifiuto pericoloso in impianto di destino. Inoltre pur ammettendo che questa possa essere considerata una prassi corretta (ma come vedremo più avanti vi sono delle condizioni per le quali si può ricorrere a detto principio) occorre considerare un aspetto fondamentale spesso trascurato: l’attribuzione delle caratteristiche di pericolo. Le caratteristiche di pericolo “HP” devono essere attribuite ai rifiuti non in modo arbitrario ma bensì a valle di una analisi tecnica dei rifiuti. L’arbitraria attribuzione delle caratteristiche di pericolo rappresentano una chiara violazione della norma con una esposizione a rischi di sanzione per il Produttore ma non solo. Infatti vi sono rischi legati anche alla sicurezza sul lavoro e agli adempimenti legati al regolamento ADR che potrebbe divenire applicabile.

Potremmo continuare ancora a lungo con l’elenco dei motivi per i quali è giusto e soprattutto doveroso effettuare una corretta caratterizzazione e classificazione dei rifiuti ma siamo certi che questi primi punti esposti saranno occasione di riflessione per i lettori.

Poste quindi le basi sul perché debba essere effettuata la classificazione dei rifiuti cerchiamo di comprendere come questa debba essere condotta.

Per fortuna in questo ambito ci vengono in aiuto le linee guida del SNPA di recente adozione (aggiornamento) che nella realtà già esistevano ma che ai più sono divenute note dopo l’introduzione dell’articolo 184 comma 5 del D.Lgs. 152/2006 così come aggiornato dal D.Lgs. 116/2020 di cui riportiamo uno stralcio:

La corretta attribuzione dei codici dei rifiuti e delle caratteristiche di pericolo dei rifiuti è effettuata dal produttore sulla base delle linee guida redatte, entro il 31 Dicembre 2020, dal Sistema Nazionale per la Protezione e la ricerca ambientale ed approvate con decreto del Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentitala conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano.

Con il decreto del Ministero della Transizione Ecologia n. 47 del 9 Agosto 2021 sono state approvate le “Linee guida sulla classificazione dei rifiuti” di cui alla Delibera del Consiglio del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente del 18 Maggio 2021 n. 105, così come integrate dal sotto-paragrafo denominato “3.5.9. – Rifiuti prodotti dal trattamento meccanico/meccanico-biologico dei rifiuti urbani indifferenziati”.

Il documento contenente le linee guida sulla classificazione dei rifiuti è un utile manuale di consultazione per principianti e veterani del settore da utilizzare come supporto nella classificazione dei rifiuti.

Il documento, composto di 173 pagine, si articola su 4 grandi capitoli e relative appendici.

Il SNPA – Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente, operativo dal 14 Gennaio 2017, data di entrata in vigore della legge 28 Giugno 2016 n. 132.

Il SNPA costituisce di fatto una vera e propria rete che fonde in sé quelle che erano le singole componenti del preesistente Sistema delle Agenzie Ambientali che coinvolgeva 21 Agenzie Regionali (ARPA) e Provinciali (APPA) oltre all’ISPRA.

Il legislatore ha attribuito al SNPA dei compiti precisi e fondamentali per la tutela dell’ambiente quali ad esempio le visite ispettive nell’ambito delle funzioni di controllo ambientale, monitoraggio dello stato dell’ambiente, controllo delle fonti e dei fattori di inquinamento ecc…

Le linee guida rappresentano, come scritto in precedenza, un valido supporto e non l’unico strumento, per poter procedere con la caratterizzazione e la classificazione dei rifiuti e nel corso dei suoi capitoli, in alcuni parti purtroppo ridondanti ma necessari, illustra in modo efficiente cosa sia di fatto la caratterizzazione.

Partiremo dunque proprio dalle linee guida per poter illustrare quali sono le fasi che il Produttore deve eseguire al fine di poter giungere alla corretta classificazione dei propri rifiuti.

E’ opportuno sottolineare che non tutte le fasi vanno affrontate per ogni singola tipologia di rifiuto poiché ve ne saranno alcune di più semplice classificazione che non richiederanno uno studio tecnico approfondito.

Ad esempio per imballaggi in carta e cartone che hanno contenuto delle apparecchiature elettroniche e per i quali siamo certi che non vi sia stata alcuna contaminazione sarà semplice giungere all’attribuzione del codice CER 150101. Per altri rifiuti invece tale procedura semplificata non sarà applicabile e si renderà necessaria l’attivazione anche delle fasi successive che vedremo qui di seguito.

Prima di procedere riteniamo importante riportare alcune citazioni relative alla Corte di Giustizia Europea che affronta proprio il tema della classificazione dei rifiuti e delle indagini che il Produttore deve svolgere sui propri rifiuti. Tali citazioni saranno sicuramente un utile spunto di riflessione per il lettore.

Sentenza corte di Giustizia Europea (Decima sezione) del 28 marzo 2019 (cause riunite C-487/17 a C-189/17): qualora dopo una valutazione dei rischi quanto più possibile completa tenuto conto delle circostanze specifiche del caso di specie, il detentore di un rifiuto che può essere classificato sia con codici corrispondenti a rifiuti pericolosi sia con codici corrispondenti a rifiuti non pericolosi si trovi nell’impossibilità pratica di determinare la presenza di sostanze pericolose o di valutare le caratteristiche di pericolo che detto rifiuto presenta, quest’ultimo deve essere classificato come rifiuto pericoloso.

Sentenza della Corte di Giustizia Europea (Decima sezione) del 28 Marzo 2019 (cause riunite da C-487/17 a C-489/17): per quanto riguarda le prove, occorre in primo luogo rilevare che la valutazione delle caratteristiche di pericolo da HP1 a HP3, come risulta dall’allego III della direttiva 2008/98, deve essere effettuata sulla base di tale metodo ove ciò sia “opportuno e proporzionato”. Ne consegue che, quando la valutazione della pericolosità di un rifiuto può essere fatta sulla base delle informazioni già ottenute in modo tale che il ricorso a una prova non sarebbe né opportuno né proporzionato, il detentore di tale rifiuto può procedere a classificarlo senza ricorrere ad una prova.

Comunicazione della Commissione europea contenente “Orientamenti tecnici sulla classificazione dei rifiuti”: nel caso in cui il detentore del rifiuto disponga di qualche conoscenza in merito agli elementi del rifiuto ma non alle sostanze presenti nello stesso, si suggerisce di utilizzare il concetto di determinazione delle sostanze secondo uno scenario realistico corrispondente allo <<scenario realistico più sfavorevole>> per ciascun elemento identificato. Tali sostanze relative allo scenario realistico più sfavorevole dovrebbero essere determinate per ciascuna caratteristica di pericolo e successivamente dovrebbero essere utilizzate per la valutazione delle caratteristiche di pericolo. Le sostanze relative allo scenario realistico più sfavorevole dovrebbero essere determinate tenendo conto delle sostanze che potrebbero essere ragionevolmente presenti nei rifiuti.

Sentenza della Corte di Giustizia Europea (Decima sezione) del 28 Marzo 2019 (cause riunite da C-487/17 a C-489/17): L’analisi chimica di un rifiuto deve, certamente, consentire al suo detentore di acquisire una conoscenza sufficiente della composizione di tale rifiuto al fine di verificare se esso presenti una o più caratteristiche di pericolo di cui all’allegato III della direttiva 2008/98. Tuttavia, nessuna disposizione della normativa dell’Unione in questione può essere interpretata nel senso che l’oggetto di tale analisi consista nel verificare l’assenso, nel rifiuto di cui trattasi, di qualsiasi sostanza pericolosa. Il detentore di un rifiuto, pur non essendo obbligato a verificare l’assenza di qualsiasi sostanza pericolosa nel rifiuto in esame, ha tuttavia l’obbligo di ricercare quelle che possano essere ragionevolmente trovarvisi, e non ha pertanto alcun margine di discrezionalità a tale riguardo.

Queste citazioni descrivono in modo esauriente la necessità, per il Produttore, di indagare sui propri rifiuti al fine di adempiere alle normative vigenti ed essere certo di aver correttamente classificato gli stessi.

La classificazione dei rifiuti in tre fasi

La caratterizzazione e classificazione dei rifiuti può essere svolta applicando un approccio a tre stadi.

Nei casi più semplici, come quello descritto in precedenza, i passaggi da svolgere saranno minimi e non si renderà necessaria l’esecuzione di tutte le fasi, nei casi più complessi invece si dovrà porre in essere uno studio tecnico completo che culminerà nella redazione di una “scheda di caratterizzazione”.

La prima attività che il Produttore deve svolgere è verificare se lo scarto prodotto sia effettivamente soggetto alla normativa rifiuti o se rientra nelle esclusioni e si renda quindi necessaria l’applicazione di una normativa specifica di settore.

L’articolo 185 del D.Lgs. 152/2006 e s.m.i. disciplina le esclusioni dal campo di applicazione della parte quarta ovvero dalla disciplina dei rifiuti. Sono infatti escluse:

  1. Le emissioni costituite da effluenti gassosi emessi nell’atmosfera e il biossido di carbonio catturato e trasportato ai fini dello stoccaggio geologico e stoccago in formazioni gelogiche prive di scambio di lfluidi con altre formazioni a norma del D.Lgs. di recepimento della direttiva 2009/31/CE in materia di stoccaggio geologico di biossido di carbonio;
  2. Il terreno (in situ), inclusi il suolo contaminato non scavato e gli edifici collegati permanentemente al terreno, fermo restando quanto previsto dagli articolo 239 e seguenti relativamente alla bonifici di siti contaminati;
  3. Il suolo non contaminato e altro materiale allo stato natura escavato nel corso di attività di costruzione, ove sia certo che esso verrà riutilizzato ai fini di costruzione allo stato naturale e nello stesso sito in cui è stato escavato;
  4. I rifiuti radioattivi;
  5. I materiali esplosivi in disuso;
  6. Le materie fecali, se non contemplate dal comma 2, lettera b) del presente articolo, la paglia e altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo, gli sfalci e le potature effettuati nell’ambito delle buone pratiche colturali, utilizzati in agricoltura, nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa, anche al di fuori del luogo di produzione ovvero con cessione a terzi, mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana.

Sono inoltre escluse, ai sensi del comma 2 dell’art. 185 del medesimo decreto, in quanto regolati da altre disposizioni normative comunitarie, ivi incluse le rispettive norme nazionali di recepimento:

  1. Le acque di scarico;
  2. I sottoprodotti di origine animale, compresi i prodotti trasformati, contemplati dal regolamento (CE) n. 1774/2002, eccetto quelli destinati all’incenerimento, allo smaltimento in discarica o all’utilizzo in impianto di produzione di biogas o di compostaggio;
  3. Le carcasse di animali morti per cause diverse dalla macellazione, compresi gli animali abbattuti per eradicare epizoozie, e smaltite in conformità del regolamento (CE) n. 1774/2002;
  4. I rifiuti risultanti dalla prospezione, dall’estrazione, dal trattamento, dall’ammasso di risorse minerali e dallo sfruttamento delle cave, di cui al decreto legislativo 30 maggio 2008 n. 117;
  5. Sostanze destinate a essere utilizzate come materie prime per mangimi di cui all’art. 3 paragrafo 2 lettera g) del regolamento (CE) n. 767/2008 del Parlamento Europeo e del Consiglio e che non sono costituite né contengono sottoprodotti di origine animale.

Sono altresì esclusi i sedimenti spostati all’interno di acque superficiali ai fini della gestione delle acque e dei corsi d’acqua o della prevenzione di inondazioni o della riduzione degli effetti di inondazioni o siccità o ripristino dei suoli se è provato che i sedimenti non sono pericolosi ai sensi della decisione 2000/532/CE della Commissione del 3 Maggio 2000 e s.m.i. .

 Rinviamo il lettore alla lettura delle linee guida per identificare tutte le possibili cause di esclusione del proprio scarto dalla normativa rifiuti.

La seconda fase è quella che vede concretizzare l’attività di caratterizzazione dei rifiuti con un’analisi dei processi al fine di poter giungere alla classificazione dei rifiuti e quindi l’attribuzione del codice CER.

La fase due della procedura di classificazione consiste nella individuazione, all’interno dell’elenco europeo dei rifiuti del codice CER pertinente. Tale attività come vedremo non potrà essere posta in essere senza un minimo di conoscenze dei processi produttivi che hanno generato il rifiuto stesso. Come si evince dallo schema infatti, la prima fase della ricerca del codice CER richiede proprio la conoscenza del processo produttivo al fine di poter individuare il capitolo di pertinenza all’interno del quale ricercare il CER competente.

A tal proposito ci viene in supporto il legislatore che fornisce le “istruzioni per l’uso”.

L’attribuzione del pertinente codice dell’elenco europeo dei rifiuti è effettuata attraverso la procedura individuata al paragrafo “elenco dei rifiuti” dell’allegato alla decisione 2000/532/CE.

I diversi tipo di rifiuti inclusi nell’elenco sono definiti specificatamente mediante il codice a 6 cifre per ogni singolo rifiuto e i corrispondenti codici a quattro e a due cifre per i rispettivi capitoli. Di conseguenza, per identificare un rifiuto nell’elenco occorre procedere come segue:

  • Identificare la fonte che genera il rifiuto consultando i capitoli da 1 a 12 e da 17 a 20 per risalire al codice a sei cifre riferito al rifiuto in questione, ad eccezione dei suddetti capitoli che terminano con le cifre 99. Occorre rilevare che è possibile che un determinato impianto o stabilimento debba classificare le proprie attività in capitoli diversi.
  • Se nessuno dei codici dei capitoli da 01 a 12 e da 17 a 20 si presta per la classificazione di un determinato rifiuto, occorre esaminare i capitoli 13, 14 e 15 per identificare il codice corretto.
  • Se nessuno di questi codici risulta adeguato, occorre definire il rifiuto utilizzando i codici di cui al capitolo 16.
  • Se un determinato rifiuto non è classificabile neppure mediante i codici del capitolo 16, occorre utilizzare il codice 99 (rifiuti non specificati altrimenti) preceduto dalle cifre del capitolo che corrisponde all’attività identificata nella prima fase.

Le prime due cifre che andremo dunque ad identificare si riferiscono alla categoria industriale e/o generatrice del rifiuto (I livello), mentre la terza e la quarta cifra identificano la sub-categoria industriale relativa al singolo processo produttivo o alla singola sub-attività generatrice del rifiuto (II livello), mentre le ultime due cifre individuano la specifica tipologia di rifiuto generato. (III livello).

Purtroppo duole osservare che il Catalogo Europeo dei Rifiuti seppur aggiornato minimamente nel corso degli anni non è ancora stato adeguato al processo tecnico-scientifico e non sono pochi i casi in cui risulta davvero difficoltoso individuare il corretto codice CER per i rifiuti prodotti dalle imprese. Su tale aspetto auspichiamo che il legislatore europeo decida nel più breve tempo possibile di raccogliere le segnalazioni pervenute dai diversi paesi europei ed adegui l’elenco.

Una volta che il codice CER del rifiuto è stato individuato, per i rifiuti non pericolosi, le attività sono concluse.

Se il codice CER individuato appartiene ad un rifiuto pericoloso occorre allora proseguire con le indagini al fine di poter attribuire le corrette caratteristiche di pericolo che, come anticipato nel corso di questo articolo, possono avere implicazioni sia sul piano della sicurezza sul lavoro (ad esempio determinate accortezze su come maneggiare il rifiuto) sia sul piano del trasporto del rifiuto stesso.

Con la fase tre il Produttore è chiamato ad effettuare un approfondimento relativo ai propri rifiuti. A tal proposito si renderà necessario disporre di una serie di informazioni, alcune in realtà già presenti nella fase due, ed altre aggiuntive.

Uno schema tipo è quello riportato di seguito:

  • Conoscenza dettagliata dei processi di produzione e delle attività di origine dei rifiuti;
  • Materie prime coinvolte nei processi e processi di trasformazione. Raccolta quindi delle schede di sicurezza aggiornate delle materie prime coinvolte;
  • Ricorso a banche dati sulle analisi dei rifiuti;
  • Effettuazione, dove necessario ed obbligatorio, delle analisi chimiche di laboratorio;
  • Raccolta di ogni ulteriore documentazione tecnica che il Produttore ritenga necessaria per l’analisi.

Possiamo quindi affermare che l’adeguata conoscenza della composizione di un rifiuto si ottiene dalla combinazione delle diverse informazioni ottenibili dalle fonti precedentemente citate. Ognuno degli aspetti indicati richiederebbe in realtà degli approfondimenti viste le normative coinvolte, banche dati disponibili a livello europeo, tipologia di documentazione aggiuntiva che è possibile gestire, obbligatorietà o meno delle analisi chimiche e tecniche di campionamento dei rifiuti. Ciò dimostra ancora una volta come la classificazione dei rifiuti non sia in realtà un argomento esauribile in poche righe.

E’ importante soffermarsi un attimo sulla questione delle schede di sicurezza. Queste sono un valido strumento a disposizione del Produttore (se aggiornate) per effettuare delle valutazioni su materie prime o su miscele e sostanze che non sono state trasformate e divengono rifiuti, ma anche per conoscere le miscele risultanti dai processi di lavorazione.

Su tale argomento, le linee guida entrano nel dettaglio invitando il Produttore a consultare il sito ECHA dove sono raccolte le informazioni sulle sostanze pericolose immesse sul mercato. Ciò è dovuto alla possibilità che “produttori” diversi della medesima sostanza, in funzione delle informazioni in loro possesso, abbiano redatto schede di sicurezza più o meno complete e differenti, per alcuni aspetti, tra di loro. Accedere al sito dell’ECHA e individuare la sostanza in oggetto che abbia il maggior numero di notificatori permetterà al produttore di rifiuti di avere a disposizione informazioni più accurate.

Purtroppo non potremo entrare nel dettaglio dell’ECHA e dell’importanza delle schede di sicurezza, argomento affascinante sul quale ci sarà modo in futuro di ritornarci.

Se a valle delle analisi effettuate dal Produttore dovesse emergere che il rifiuto è di tipo pericoloso, si renderà necessario un ulteriore approfondimento teso ad individuare le corrette caratteristiche di pericolo.

Queste ultime ribadiamo non possono essere attribuite in modo arbitrario in quanto alcune di esse innescano ulteriori obblighi per il Produttore, ad esempio l’analisi degli obblighi derivanti dal regolamento ADR oppure verifiche di compatibilità delle HP dei rifiuti con quelle conferibili in impianto di destino.

A tal proposito le linee guida sono un importante strumento di ausilio al Produttore per comprendere come applicare le caratteristiche di pericolo, quali siano i valori soglia oltre i quali le HP devono essere attribuite, quali sono i casi in cui devono essere eseguite delle sommatorie ecc…

Anche in questo caso rinviamo il lettore ad una lettura approfondita dell’argomento che per ovvie ragioni di spazio non possiamo riassumere in questo articolo. E’ importante però sottolineare che la corretta attribuzione delle caratteristiche di pericolo passa attraverso il confronto delle concentrazioni rilevate nella sostanza o nella miscela rifiuto con i valori soglia definiti dalla normativa. Si riporta qui di seguito la tabella delle linee guida che esplicita in modo chiaro tale concetto.

Di seguito si riporta uno stralcio dello schema della procedura di classificazione di un rifiuto identificato da voci a specchio che sarà utile per il lettore nell’applicazione delle tre fasi di cui sopra.

Come si può quindi comprendere da questo brevissimo stralcio, la classificazione dei rifiuti intesa in senso lato è multidisciplinare e richiede l’accesso a molte informazioni e documentazione. Ciò ci permette di ribadire quanto già scritto in precedenza ovvero che non è sufficiente dare uno sguardo al codice ATECO dell’azienda ed ai rifiuti prodotti per comprendere quale codice CER attribuire.

La caratterizzazione e la classificazione di un rifiuto quindi si basa su aspetti tecnici, come la conoscenza approfondita del ciclo produttivo, l’analisi di documentazione tecnica, come le schede di sicurezza e la consultazione del sito ECHA e l’analisi di normative specifiche di riferimento ed analisi chimiche (argomento sempre spinoso).

Al fine di poter consultare le fonti disponibili riteniamo sia utile il seguente approccio definito dalle linee guida.

Come si è potuto osservare brevemente in queste pagine, la completa classificazione dei rifiuti non è una semplice questione di individuazione del codice CER ma racchiude in sé un’articolata serie di attività multidisciplinari che devono essere messe in campo al fine di poter essere certi di aver identificato il rifiuto.

A quanti si staranno chiedendo quanto sia utile questo esercizio di analisi dei rifiuti e se sia possibile metterlo in atto ogni volta,  ci sentiamo di rispondere che la classificazione seppur complessa è un’attività che ha dei vantaggi per le imprese e per la comunità.

Da un lato ci permette di adempiere agli obblighi normativi, dall’altra ci permette di avere sotto controllo nelle nostre aziende la produzione dei rifiuti in modo puntuale (in particolare se corredato da un completo sistema di gestione ambientale anche non certificato) ed infine dobbiamo considerare le ricadute sulla comunità.

Se tutti gli attori della filiera della produzione dei rifiuti avviassero un processo di classificazione dei rifiuti effettuato secondo le disposizioni tecnico-normative avremmo la possibilità di alimentare meglio il circuito del riciclaggio e del recupero dei rifiuti, eviteremmo miscelazioni di rifiuti senza sbocco per il recupero, avremmo dei costi di gestione dei rifiuti più ridotti, capacità di incrementare la produzione di materie prime recuperate evitando di attingere ancora a quelle vergini, riduzione dei traffici illeciti, riduzione della possibilità per gestori scorretti di inserirsi nelle maglie del ciclo virtuoso di gestione dei rifiuti.

La scheda di caratterizzazione dei rifiuti

Nel momento in cui un Produttore procede alla caratterizzazione di un rifiuto è opportuno che raccolga tutte le informazioni raccolte, documenti e foto del rifiuto stesso, all’interno di un fascicolo o in quella che potremmo definire: Scheda di caratterizzazione del rifiuto, che rappresenta di fatto una sorta di documento di identità del rifiuto stesso.

Una scheda di caratterizzazione dovrebbe contenere al suo interno tutte le informazioni tipiche del rifiuto in oggetto.

Una scheda tipo potrebbe contenere:

  1. Dati identificativi dell’azienda
  2. Data di redazione
  3. Nominativi dei soggetti che hanno partecipato alla redazione
  4. Codice CER
  5. Descrizione normativa
  6. Descrizione informale del rifiuto
  7. Analisi dei processi produttivi
  8. Elenco delle materie prime coinvolte nei processi, suddivisi per fare
  9. Foto rappresentative del rifiuto
  10. Indicazione della produzione se continuativa, stagionale ecc…
  11. Quantità stimate o storiche del rifiuto prodotto
  12. Indicazione delle modalità di recupero/smaltimento
  13. Modalità di confezionamento
  14. Dati caratteristici del rifiuto
    1. Urbano/speciale
    1. Pericoloso/non pericoloso
    1. Caratteristiche di pericolo
    1. Stato fisico
    1. Odore
  15. Indicazioni sulla sicurezza in relazione alle modalità di maneggiamento del rifiuto
  16. Pittogrammi obbligatori da porre sui colli
  17. Indicazioni ADR
  18. Riferimenti ad eventuali analisi chimiche condotte sui rifiuti
  19. Riferimenti normativi presi in considerazione ed eventuali note di corredo
  20. Note aggiuntive utili ad una migliore comprensione del rifiuto

Chiaramente ogni Produttore potrà redigere la scheda di caratterizzazione in modo personalizzato aggiungendo ulteriori informazioni ed avendo cura di mantenere quelle essenziali per l’identificazione del rifiuto.

Le finalità di questo documento sono diverse:

  • Documento disponibile per l’impresa e che aggiornerà nel corso del tempo in funzione dei cambiamenti dei processi produttivi e/o della variazione delle materie prime coinvolte. (Basti pensare ad esempio alla variazione di un olio lubrificante/refrigerante impiegato in un tornio che di conseguenza muterà i parametri chimico-fisici degli oli di risulta)
  • Documento disponibile per organi di controllo che potranno così verificare come l’impresa sia giunta all’attribuzione del corretto codice CER a valle di una indagine tecnico-normativa
  • Documento condivisibile con intermediari ed impianti di trattamento al fine di individuare l’impianto di destino più idoneo ed ottenere il prezzo di conferimento migliore in funzione delle caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti.

Classificare un rifiuto è quindi in conclusione un processo fondamentale per l’intera filiera di gestione dei rifiuti, essa è la prima attività che deve essere volta affinché il Produttore possa affermare che il proprio sistema di gestione sia conforme alla normativa vigente e per poter dimostrare ad eventuali organi di controllo di aver identificato correttamente i propri rifiuti.

Questo processo innesca una serie di conseguenze che hanno un impatto su tutti gli attori della filiera. Ad esempio determineranno alcune modalità di gestione del deposito temporaneo, individuazione di un trasportatore di rifiuti che sia in possesso dell’iscrizione all’Albo Gestori Ambientali della categoria 4 o 5, dell’intermediario di rifiuti che sia in possesso dell’iscrizione in categoria 8 per i soli rifiuti non pericolosi o anche per i rifiuti pericolosi, di un impianto appositamente autorizzato per accogliere quello specifico rifiuto.

Esaurire l’intero argomento con tutte le sue implicazioni, come ben si comprende, non è possibile ma se ne può concludere che la “semplice” classificazione dei rifiuti, punto di partenza per una corretta gestione, propaga i suoi effetti fino a valle della filiera dimostrando la necessità di una corretta esecuzione dell’attività stessa.

Ambiente&Rifiuti – Consulenza Tecnica per la gestione dei rifiuti

Produttori di rifiuti – vecchi e nuovi obblighi

Come abbiamo anticipato nei precedenti articoli, nel corso delle prossime settimane cercheremo di dare uno sguardo più dettagliato alle modifiche introdotte dal pacchetto economia circolare al D.Lgs. 152/2006.

Da quanto è emerso fino ad ora non possiamo non notare una serie di incongruenze con le direttive europee e ciò richiederà, inevitabilmente, qualche chiarimento da parte del Ministero dell’Ambiente.

Tra le principali incongruenze che sono state rilevate emerge l’inserimento del nuovo codice CER 07.02.18 – scarti di gomma che compare solo nella versione italiana. Tale inserimento potrebbe avere delle ricadute di non poco conto:

  1. Nessun impianto di trattamento rifiuti è oggi autorizzato per tale codice CER
  2. Nessun trasportatore è autorizzato per tale codice CER
  3. Al di fuori dell’Italia nessun paese europeo ha tale codice CER e ciò potrebbe causare problemi nel caso di trasporti transfrontalieri

Le tre criticità che abbiamo riportato evidenziano come l’inserimento di questo codice CER non sia immediatamente fruibile in quanto si rischia di non riuscire ad individuare destinatari e trasportatori in grado di poterlo gestire.

Fatta questa breve premessa, sulla quale quasi certamente avremo modo di ritornare nei prossimi articoli, passiamo ad esaminare l’art. 188 nella sua nuova versione.

L’articolo si apre identificando immediatamente nel produttore o nel detentore, laddove il Produttore non sia individuabile, il soggetto responsabile di provvedere al trattamento dei propri rifiuti attraverso l’affidamento ad un intermediario o ad un commerciante o un ente o impresa che sia autorizzato al trattamento dei rifiuti.

I costi della gestione dei rifiuti vengono attribuiti, con il comma 3, al produttore iniziale dei rifiuti ed ai vari detentori che si succedono a vario titolo nelle fasi del ciclo di gestione degli stessi.

Come sappiamo la fase più rilevante per i Produttori è quella della cessazione delle proprie responsabilità. Nel corso degli anni abbiamo potuto assistere a varie versioni professate dai Produttori ma come sempre è la norma che ci indica quale sia la strada corretta da percorrere.

Dal comma 4 si evince che la responsabilità del Produttore non viene a cessare nel momento in cui consegna i propri rifiuti ad uno dei soggetti autorizzati alla gestione degli stessi e pertanto tale affidamento non costituisce esclusione automatica della responsabilità rispetto alle operazioni di effettivo recupero o smaltimento.

Al contrario, la responsabilità del Produttore cessa nei seguenti casi:

  • Affidamento dei rifiuti al servizio di pubblica raccolta (per i rifiuti che è permesso affidare)
  • Conferimento dei rifiuti a soggetti autorizzati alle attività di recupero o di smaltimento a condizione che il detentore abbia ricevuto il formulario di identificazione rifiuti controfirmato e data in arrivo dal destinatario entro tre mesi dalla data di conferimento dei rifiuti al trasportatore (il termine  è elevato a 6 mesi per i trasporti transfrontalieri)

Rilevante appare il comma 5 che introduce, seppur in modo confusionario, una condizione già anticipata negli anni precedenti ma mai entrata in vigore. Nel caso di conferimento di rifiuti a soggetti autorizzati alle operazioni di raggruppamento, ricondizionamento e deposito preliminare di cui ai punti D13, D14 e D15 dell’allegato B alla parte IV del D.Lgs. 152/2006, la responsabilità dei produttori di rifiuti per il corretto smaltimento è esclusa a condizione che questi ultimi, oltre al formulario di identificazione rifiuti abbiano ricevuto un’attestazione di avvenuto smaltimento, resa ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 28 Dicembre 2000 n. 445, sottoscritta dal titolare dell’impianto da cui risultino, almeno, i dati dell’impianto e del titolare, la quantità dei rifiuti trattati e la tipologia di operazione di smaltimento effettuata.

Le disposizioni di quest’ultimo comma sono valide fino al momento in cui non entrerà in vigore il RENTRI.

Come è possibile osservare, nell’ottica di voler migliorare la tracciabilità dei rifiuti e l’avvenuto effettivo smaltimento si corre ora il rischio di generare confusione e magari qualche sanzione.

Considerando le tipologie impiantistiche presenti in Italia e le diverse modalità autorizzative, non sarà sfuggita al lettore una particolarità. Cosa accadrà quando il Produttore conferirà i propri rifiuti in un impianto autorizzato unicamente alle operazioni di smaltimento D15? O solo D13 e/o D14? Come potrà quest’ultimo certificare l’avvenuto effettivo smaltimento dei rifiuti se questi ultimi potranno restare in giacenza presso il suo impianto fino al momento in cui non verranno fatti confluire presso un impianto specializzato ad altri trattamenti? Siamo sicuri che entro tre mesi dal conferimento in impianto sia possibile garantire l’effettivo smaltimento? Sono state considerate le autorizzazioni degli impianti distribuiti sul territorio italiano?

A differenze di quanto avviene con le autorizzazioni al trasporto rifiuti quando ci affacciamo al mondo dell’impiantistica del trattamento dei rifiuti, la prima cosa che si osserva è l’eterogeneità delle autorizzazioni su tutto il territorio nazionale e l’applicabilità di questo comma diventa complessa se non impossibile in questa prima fase. Non sarebbe stato più utile formulare il comma in oggetto in modo più organico tenendo presente la situazione italiana?

Su questo tema non possiamo che lasciare per il momento un grande punto interrogativo.

Vediamo più da vicino ora l’art. 184 relativo alla classificazione dei rifiuti.

Come nella versione precedente, i rifiuti devono essere classificati innanzitutto secondo l’origine ottenendo quindi una prima distinzione in urbani e speciali e successivamente, a seconda delle concentrazioni di sostanze pericolose contenute, in pericolosi e non pericolosi.

Il comma 5 riporta un interessante aggiornamento che rimarca fortemente quanto già si sapeva ma che spesso si ignorava ossia l’obbligo di procedere alla classificazione dei rifiuti.

Infatti:

“L’elenco dei rifiuti di cui all’allegato D alla parte IV del presente decreto include i rifiuti pericolosi e tiene conto dell’origine e della composizione dei rifiuti e,ove necessario, dei valori limite di concentrazione delle sostanze pericolose. Esso è vincolante per quanto concerne la determinazione dei rifiuti da considerare pericolosi. L’inclusione di una sostanza o di un oggetto nell’elenco non significa che esso sia un rifiuto in tutti i casi, ferma restando la definizione di rifiuti (art. 183). La corretta attribuzione dei codici dei rifiuti e delle caratteristiche di pericolo dei rifiuti è effettuata dal produttore sulla base delle linee guida redatte, entro il 31 Dicembre 2020, dal Sistema nazionale per la protezione e la ricerca ambientale ed approvate dal Ministero dell’ambiente”

I punti importanti di questo comma sono:

  • Il Produttore ha l’obbligo di procedere con la classificazione del rifiuto. Ricordiamo che la classificazione non si riduce meramente alla individuazione di un codice CER da attribuire al rifiuto ma bensì consiste in uno studio dei processi produttivi che hanno generato il rifiuto, le materie prime coinvolte, la documentazione tecnica, analitica e normativa a disposizione. Solo a valle di questo studio è possibile attribuire correttamente il codice CER, valutare se il rifiuto è pericoloso o meno e nel caso in cui sia pericoloso, quali siano le corrette caratteristiche di pericolo da attribuire.
  • Entro il 31 Dicembre 2020 saranno emanate delle linee guida per la classificazione. Ricordiamo che non è necessario aspettare il 31 dicembre per classificare i propri rifiuti essendo l’obbligo in vigore già da anni ed essendo disponibili già tutti i documenti necessari per farlo. Quando saranno emanate le linee guida dovremo solo verificare quali sono gli aggiornamenti introdotti
  • Alla luce della riclassificazione dei rifiuti urbani, che entrerà in vigore il 1 Gennaio 2021, sarà necessario per i Produttori effettuare le dovute verifiche per comprendere quali rifiuti saranno annoverati tra gli urbani e quali tra gli speciali.

Infine diamo uno sguardo al comma 5-ter che non aggiunge nulla di nuovo ma è bene tenerlo a mente:

“la declassificazione da rifiuto pericoloso a rifiuti non pericoloso non può essere ottenuta attraverso la diluizione o una miscelazione del rifiuto che comporti una riduzione delle concentrazioni iniziali di sostanze pericolose sotto le soglie che definiscono il carattere pericoloso del rifiuto”

Viene mantenuto in vigore quindi il divieto di miscelazione.

Come è possibile osservare le novità introdotte dal pacchetto economia circolare non sono poche. Alcune si rendono immediatamente applicabili mentre altre presentano sin da subito delle criticità che dovranno essere risolte.

Ambiente&Rifiuti – Consulenza Tecnica per la gestione dei rifiuti

Attribuzione HP14 Ecotossico – ISPRA fornisce metodologie di valutazione

In uno degli articoli precedenti abbiamo scritto dell’entrata in vigore, dal 5 Luglio 2018, del regolamento 2017/997 il quale modifica l’allegato III della direttiva quadro sui rifiuti 2008/98/CE per quanto concerne l’assegnazione della caratteristica di pericolo HP 14 Ecotossico.

L’ISPRA ha pubblicato un documento recante l’approccio metodologico per la valutazione della caratteristica di pericolo HP 14 che è degno di nota e che fornisce alcune utili considerazioni e spunti di riflessione per gli addetti ai lavori.

Ricordiamo ancora una volta che spetta sempre al Produttore procedere alla corretta caratterizzazione e classificazione dei propri rifiuti, prima che gli stessi vengano allontanati dal deposito temporaneo (luogo di produzione).

Non ci stancheremo mai di dire ai nostri clienti che le attività di classificazione e caratterizzazione devono essere svolte subito dopo la produzione del rifiuto al fine di poter essere certi di quale sia il codice CER corretto da assegnare, quali sono le eventuali caratteristiche di pericolo HP da attribuire, quali sono i corretti contenitori da utilizzare per il raggruppamento di tali rifiuti all’interno del deposito temporaneo.

Le norme continuano ad evolversi, la tutela della salute dell’Uomo e dell’Ambiente rappresentano oggi un aspetto importante che non è possibile sottovalutare e affinché tale tutela sia messa in pratica occorre che ognuno di noi faccia la propria parte, anche attraverso la corretta classificazione dei propri rifiuti.

In questo articolo cercheremo di fornire alcuni spunti di riflessione leggendo insieme le parti principali del documento fornito dall’ISPRA rinviando comunque il lettore ad una lettura più approfondita del documento in quanto molto interessante.

La nota fornita dall’ISPRA è finalizzata a fornire indicazioni in merito alla valutazione della caratteristica di pericolo HP 14 nell’ambito della procedura più generale di classificazione dei rifiuti. Pertanto sia chiaro sin da ora che per procedere ad una corretta classificazione non è sufficiente conoscere la metodologia di attribuzione della sola HP 14.

La pericolosità di un rifiuto può derivare dalla sussistenza di una o più caratteristiche di pericolo, ognuna delle quali deve essere oggetto di opportuna valutazione ai fini dell’espletamento dell’intera procedura di classificazione.

Come ormai dovremmo sapere da tempo, l’individuazione del codice CER di un rifiuto, ultima operazione dell’intera procedura di caratterizzazione e classificazione, segue un processo normato.

L’ordine di precedenza da considerare nella consultazione dei vari capitoli dell’elenco europeo è il seguente:

  1. Capitoli da 1 a 12 e da 17 a 20, relativi alla fonte che ha generato il rifiuto
  2. Capitoli da 13 a 15, relativi al tipo di rifiuto;
  3. Capitolo 16, relativi ai rifiuti non specificati altrimenti nell’elenco.

In qualità di produttore segui questa procedura?

Quando si giunge ad individuare il codice CER del rifiuto, possiamo trovarci di fronte a una delle seguenti casistiche:

  1. Il rifiuto è individuato esclusivamente da un codice non pericoloso, ossia il codice CER non è asteriscato e non è accompagnato da una corrispondente voce a specchio. Ad esempio il codice CER 08.02.01 Polveri di scarti di rivestimenti il quale non ha il corrispondente codice CER asteriscato. Tale rifiuto quindi è sempre classificato come non pericoloso in base all’origine. Stando a quanto riportato sugli Orientamenti tecnici sulla classificazione dei rifiuti, qualora un rifiuto sia assegnato una voce ANH (Absolute Non Hazardous), lo stesso è classificato come non pericoloso e non occorrono ulteriori valutazioni per decidere se detto rifiuto debba essere classificato come non pericoloso.
  2. Il rifiuto è individuato esclusivamente da un codice pericoloso, ossia da un codice CER asteriscato il quale non ha il corrispondente codice CER non asteriscato. Un esempio è il CER 05.01.03* che individua le morchie depositate sul fondo dei serbatori derivanti dalle operazioni di raffinazione del petrolio. Facendo riferimento, anche in questo caso agli Orientamenti tecnici sulla classificazione dei rifiuti, qualora un rifiuto sia assegnato a una voce AH (Absolute Hazardous), è classificato come pericoloso e non occorrono ulteriori valutazioni per decidere se debba essere classificato come non pericoloso. Si badi bene che ciò non vuol dire che le attività di caratterizzazione sono esaurite e che dovremo lasciare al trasportatore o all’impianto di destino la possibilità di decidere quali HP attribuire al rifiuto. Anzi, si rende necessario procedere all’esecuzione di tutte le successive fasi di analisi al fine di determinare quali siano le caratteristiche di pericolo. Solo in questo modo potremo adempiere alle disposizioni dell’articolo 19, della direttiva quadro sui rifiuti, concernente la corretta etichettatura dei rifiuti pericolosi. Come si può osservare da qui poi ne discendono tutta una serie di obblighi che spesso il produttore ignora, quali possono essere: Obbligo di trasporto in ADR, corretta applicazione dei pittogrammi di sicurezza, scelta del corretto contenitori per il raggruppamento dei rifiuti ecc…
  3. Il rifiuto è individuato da voci a specchio, ovvero sono presenti due voci, di cui una asteriscata e l’altra no che fanno riferimento allo stesso rifiuto. In questo caso il rifiuto potrà essere classificato come pericoloso o meno solo a seguito della verifica della sussistenza o meno di una o più caratteristiche di pericolo. Ogni qual volta un rifiuto è assegnato ad un gruppo di voci alternative, occorre procedere ad una valutazione approfondita ai fini della sua classificazione. Gli orientamenti tecnici sulla classificazione dei rifiuti riportano che qualora sia possibile scegliere tra assegnare una voce MH (Mirror Hazardous) o una voce MNH (Mirror Non Hazardous) è necessario procedere ad una indagine approfondita in maniera da determinare, sulla base dei risultati ottenuti se assegnare una voce MH o una voce

Pertanto si consiglia vivamente di evitare la prassi, spesso vista in alcune realtà aziendali, di attribuire un codice CER pericoloso al rifiuto in via cautelativa al fine di evitare analisi chimiche ed attività di caratterizzazione del rifiuto più approfondite. Tale pratica è errata! In questo modo in realtà si espone l’impresa a maggiori rischi in quanto un rifiuto pericoloso conduce all’adempimento di tutti gli obblighi già citati al punto 2.

Questa premessa era utile per rinfrescare la memoria, in tempi di calura estiva, su come si dovrebbe procedere quando si devono classificare i propri rifiuti. Siamo fiduciosi che al rientro dalle ferie estive i produttori effettueranno le dovute verifiche sulle modalità adottate all’interno della propria azienda.

Entriamo ora nel dettaglio della caratteristica di pericolo HP 14 andando ad analizzare la sua definizione.

Ai sensi dell’allegato III della direttiva 2008/98/CE, così come modificato dal Regolamento 2017/997/UE, è definito HP 14 – Ecotossico un rifiuto che presenta o può presentare rischi immediati o differiti per uno o più comparti ambientali.

Lo stesso allegato ci dice che sono classificati come rifiuti pericolosi per la caratteristica di pericolo HP14 i rifiuti che soddisfano almeno una delle seguenti condizioni:

  • I rifiuti che contengono una sostanza classificata come sostanza che riduce lo strato di ozono, con il codice di indicazione di pericolo H420 conformemente al regolamento 2008/1272/CE, se la concentrazione di tale sostanze è pari o superiore al limite di concentrazione dello 0,1%; L’equazione da adottare è la seguente: Σ c (H420) ≥ 0,1%
  • I rifiuti che contengono una o più sostanze sono classificate come sostanze con tossicità acuta per l’ambiente acquatico con il codice di indicazione di pericolo H400 conformemente al regolamento 2008/1272/CE, se la somma delle concentrazioni di tali sostanze è pari o superiore al limite di concentrazione del 25%. A tali sostanze si applica un valore soglia dello 0,1%.

L’equazione da adottare  è la seguente: Σ c (H400) ≥ 25%

  • I rifiuti che contengono una o più sostanze classificate come sostanze con tossicità cronica per l’ambiente acquatico 1,2 o 3 con il codice di indicazione di pericolo H410, H411, H412 conformemente al regolamento 2008/1272/CE, se la somma delle concentrazioni di tutte le sostanze della categoria 1 (H410) moltiplicata per 100, aggiunta alla somma delle concentrazioni di tutte le sostanze della categoria 2 (H411) moltiplicata per 10, aggiunta alla somma delle concentrazioni di tutte le sostanze della categoria 3 (H412) è pari o superiore al limite di concentrazione del 25%. Alle sostanze classificate con il codice H410 si applica un valore soglia dello 0,1% e alle sostanze classificate con il codice H411 o H412 si applica un valore soglia dell’1%.

L’equazione da adottare è la seguente:  [100 x Σ c (H410) + 10 x Σ c (H411) + Σ c (H412)] ≥ 25%

  • I rifiuti che contengono una o più sostanze classificate come sostanze con tossicità cronica per l’ambiente acquatico ,2,3, o 4 con il codice di indicazione di pericolo H410,H411, H412 o H413 conformemente al regolamento 2008/1272/CE, se la somma delle concentrazioni di tutte le sostanze classificate come sostanze con tossicità cronica per l’ambiente acquatico è pari o superiore al limite di concentrazione del 25%. Alle sostanze classificate con il codice H410 si applica un valore soglia dello 0,1% e alle sostanze classificate con il codice H411, H412 o H413 si applica un valore soglia dell’1%.

L’equazione da adottare è la seguente: [ Σ c (H410) + Σ c (H411) + Σ c (H412) + Σ c (H413) ] ≥ 25%

 

I quattro punti appena riportati non devono essere considerati come alternativi tra di loro. Infatti, qualora siano superati i limiti di concentrazione indicati in una qualsiasi delle formule, il rifiuto dovrà essere classificato come “Ecotossico”. Da ciò ne discende che un rifiuto che contiene sostanze classificate H410, H411 e H412, deve in ogni caso essere valutato applicando l’equazione riportata al punto 3 dell’elenco. Se dalla risoluzione dell’equazione dovesse risultare non Ecotossico, ed il rifiuto contiene una o più sostanze classificate H413, sarà necessario procedere all’applicazione anche del punto 4 dell’elenco.

Per l’applicazione dei metodi di prova, occorre far riferimento alle indicazioni riportate nell’allegato alla decisione 2000/532/CE, al paragrafo “Valutazione e Classificazione”.

Secondo il regolamento 2017/997/CE, quando si effettua una prova per stabilire se un rifiuto presenta la caratteristica di pericolo HP14 “Ecotossico”, è opportuno applicare i metodi pertinenti di cui al regolamento CE n.440/2008 della Commissione o altri metodi di prova e linee guida riconosciuti a livello internazionale. La decisione 2000/532/CE dispone che, laddove una caratteristica di pericolo di un rifiuto sia stata valutata sia mediante una prova che utilizzando le concentrazioni di sostanze pericolose come indicato nell’allegato III della direttiva 2008/98/CE, devono prevalere i risultati della prova. Inoltre, si dovrebbe tener conto dell’articolo 12 del regolamento CE n. 1272/2008, in particolare dell’articolo 12, lettera b) e delle metodologie per la sua applicazione. È opportuno che la Commissione promuova lo scambio di migliori prassi relative ai metodi di prova per la valutazione delle sostanze per quanto riguarda la caratteristica di pericolo HP 14 “Ecotossico” ai fini della loro eventuale armonizzazione.

I test stabiliti dal regolamento 2008/440/CE rappresentano ad oggi il riferimento espressamente richiamato dalla decisione 2000/532/CE e dal Regolamento 2017/997/UE e pertanto la loro applicazione è senz’altro conforme al dettato normativo.

 

Quanto fin qui riportato è una breve estrazione di quanto è possibile leggere nel documento dell’ISPRA che vi invitiamo a leggere con attenzione per poter procedere alla valutazione della caratteristica di pericolo HP 14 dei vostri rifiuti.

Di seguito riportiamo lo schema decisionale che potrebbe rappresentare un valido supporto per gli operatori:

 

 

 

 

 

 

 

(1) Nell’applicazione delle sommatorie non vanno considerate le sostanze acquatiche Acute 1 – H400 e Acquatico Chronic 1 – H 410 presenti in concentrazione inferiore allo 0,1% e le sostanze Acquatic Chronic 2,3 e 4 presenti in concentrazione inferiore all’1%.

Seguendo il link potrete scaricare il documento: Approccio Metodologico ISPRA HP14

Certi che la lettura di questo breve articolo non sia argomento da mettere sotto l’ombrellone restiamo a vostra disposizione, al rientro dalle ferie estive, per supportarvi nelle attività di classificazione e caratterizzazione dei vostri rifiuti.

 

Ambiente & Rifiuti – Consulenza Tecnica per la gestione dei Vostri rifiuti

Ing. Vito la Forgia – v.laforgia@ambiente-rifiuti.com

Dal 5 Luglio 2018 obbligo di valutazione dell’HP14. I tuoi rifiuti non pericolosi potrebbero essere riclassificati come pericolosi

A partire dal 5 Luglio 2018 occorre effettuare la verifica di attribuzione della caratteristica di pericolo HP14 ai propri rifiuti in accordo con prescritto dal Regolamento 2017/997.

Vediamo nello specifico di cosa si tratta.

Il Regolamento UE 2017/997 modifica l’allegato III della direttiva quadro sui rifiuti 2008/98/CE per quanto concerne l’assegnazione della caratteristica di pericolo HP 14 Ecotossico.

Il regolamento appena citato, definisce i criteri comunitari stabiliti per l’attribuzione della caratteristica di pericolo HP14 superando di fatto le disposizioni relative all’assegnazione di tale caratteristica di pericolo contenuta nel regolamento 1357/2014.

Il Regolamento, in vigore dal 5 Luglio 2017 trova applicazione a partire dal 5 Luglio 2018.

In Italia, il D.Lg. 78 del 2015, convertito con modificazioni dalla legge n.125/2015, riporta all’art. 7 comma 9-ter che la caratteristica di pericolo di ecotossicità (HP 14) si attribuisce al rifiuto secondo le modalità dell’accordo ADR per la classe 9 – M6 e M7.

Per chi non lo sapesse, l’accordo ADR regola il trasporto internazionale di merci pericolose su strada. Tale accordo si basa sulle modalità di classificazione delle sostanze e delle miscele definite, dal Regolamento (UE) 1272/2008 conosciuto anche come regolamento CLP (acronimo di Classification, labeling and packaging).

L’interazione tra le norme ed i regolamenti può comportare in questo caso che le modifiche introdotte possano incidere anche sulle modalità di trasporto delle merci contenenti tali sostanze, secondo l’accordo ADR.

In base alle modifiche introdotte, la caratteristica di pericolo HP 14 si applica ai rifiuti che:

  • Contengono in concentrazione pari o superiore a 0,1% sostanze che riducono lo strado di ozono (H420) (halon, tetracloruro di carbonio, clorofluorocarburi, idrofluorocarburi, tricloroetano, metilcloroformio, bromuro di metile, bromoclorometano, ecc…) e/o
  • Contengono una o più sostanze classificate con tossicità acuta per l’ambiente acquatico (H400) in concentrazione pari o superiore al 25%, con un valore soglia dello 0,1 % e/o
  • Contengono una o più sostanze classificate come sostanze con tossicità cronica per l’ambiente acquatico (H410, H411, H412), la cui somma ha concentrazione pari o superiore al 25%, con un valore soglia di 0,1 % per sostanze H410 e 1% per sostanze H411 e H412 ed applicando un fattore moltiplicativo di 100 per H410, di 10 per h411 e/o
  • Contengono una o più sostanze classificate come sostanze con tossicità cronica per l’ambiente acquatico (H410, H411, H412, H413), la cui somma ha concentrazione pari o superiore al 25%, con un valore soglia di 0,1 % per sostanze H410 e 1% per sostanze H411, H412 e H413.

Il regolamento può quindi far risultare che rifiuti attualmente classificati come pericolosi possano non esserlo più e viceversa ovviamente.

Vediamo ora quali sono le condizioni che possono verificarsi e che i produttori devono tener presenti:

  • Rifiuto ecotossico secondo l’ADR che permane nel suo stato anche secondo il regolamento 2017/997;
  • Rifiuto ecotossico secondo l’ADR che non è più ecotossico secondo il regolamento 2017/997;
  • Rifiuto non ecotossico secondo l’ADR che resta non ecotossico secondo il regolamento 2017/997;
  • Rifiuto non ecotossico secondo l’ADR che diventa ecotossico secondo il regolamento 2017/997;

 

In aggiunta a queste condizioni dobbiamo considerare l’applicazione, dal 1° Marzo 2018, dell’aggiornamento del regolamento CLP, da cui discendono ulteriori 2 condizioni da tenere in considerazione:

  • Rifiuto non ecotossico secondo l’ADR fino al 28 febbraio 2018, diventa ecotossico per effetto delle modifiche al regolamento CLP e che rimane ecotossico con l’applicazione del regolamento 2017/997;
  • Rifiuti non ecotossico secondo l’ADR fino al 28 febbraio 2018 che diventa ecotossico a seguito delle modifiche introdotte al regolamento CLP e che non è più ecotossico secondo il regolamento 2017/997.

Cosa fare dunque per essere certi di essere in linea con quanto previsto dalla normativa?

I produttori di rifiuti speciali, tenuti sempre ad effettuare la classificazione e la caratterizzazione dei propri rifiuti (D.Lgs. 152/2006) devono:

  • Verificare se nei rifiuti prodotti dai propri cicli produttivi vi sono composti pericolosi a cui sono attribuite le frasi di pericolo H420, H400, H410, H411, H412, H413;
  • Procedere al ricalcolo delle concentrazioni dei composti ecotossici nei propri rifiuti in base a quanto stabilito dal regolamento UE 997/2017

Effettuato ciò si deve procedere alla riclassificazione dei propri rifiuti.

Di seguito uno specchietto illustrativo delle casistiche che possono presentarsi.

  • Il rifiuto era classificato ecotossico ai sensi del regolamento ADR e non lo è più ai sensi del regolamento 2017/997
    1. Nel caso in cui il codice CER sia “a specchio” se al rifiuto non sono attribuibili altre caratteristiche di pericolo ai sensi del regolamento 1357/2014, allora si assegnerà il codice CER non pericoloso;
    2. Nel caso in cui il codice CER sia “pericoloso assoluto” non dovrà più essere attribuita la caratteristica di pericolo HP14.
    3. Nel caso in cui il codice CER sia “pericoloso assoluto” e non siano più attribuibili altre caratteristiche di pericolo, sarà necessario individuare un codice CER non pericoloso;
  • Il rifiuto era classificato non ecotossico ai sensi del regolamento ADR e lo diventa ai sensi del regolamento 2017/997
    1. Nel caso in cui il codice CER sia “a specchio” non pericoloso dovrà essere assegnato il codice CER pericoloso ed attribuita la caratteristica di pericolo HP14;
    2. Nel caso in cui il codice CER sia “a specchio” pericoloso dovrà essere attribuita anche la caratteristica di pericolo HP14;
    3. Nel caso in cui il codice CER sia “pericoloso assoluto” si aggiungerà la caratteristica di pericolo HP14
  • Se il rifiuto era classificato ecotossico ai sensi del regolamento ADR e continua ad esserlo secondo il Regolamento 2017/997 allora nulla cambia ed al rifiuto continua ad essere attribuita la caratteristica di pericolo HP14.

Se per la classificazione e riclassificazione dei rifiuti sono valide le istruzioni appena riportate, ovviamente occorre prestare attenzione anche ai registri di carico e scarico.

Molte imprese, che compilano correttamente i registri di carico e scarico rifiuti, potrebbero trovarsi nella condizione in cui vi siano in deposito temporaneo e sul registro dei rifiuti presi in carico prima del 5 luglio 2018. A seguito della riclassificazione dei propri rifiuti è necessario dare evidenza agli organi di controllo di quanto è stato effettuato (schede di caratterizzazione, analisi chimiche, procedura di classificazione e caratterizzazione dei propri rifiuti) e del corretto aggiornamento dei propri registri al fine di non far risultare disallineamenti. Tale procedura è ovviamente doverosa in quanto i rifiuti in carico dovranno essere avviati a recupero/smaltimento con il corretto codice CER e le giuste caratteristiche di pericolo.

Le indicazioni fornite di seguito sono dei suggerimenti atti a rendere il registro di carico e scarico chiaro al produttore ed agli organi di controllo e per avere una gestione corretta dei propri rifiuti.

  • Per i rifiuti identificati con codice CER pericoloso “assoluto” che dal 5 Luglio 2018 vedono attribuirsi anche la caratteristica di pericolo HP14, questa deve essere inserita nelle annotazioni della registrazione di carico indicando il riferimento al regolamento 2017/997;
  • Per i rifiuti identificati con codice CER a specchio pericoloso e che dal 5 Luglio 2018 continuano a restare pericolosi ma ai quali viene aggiunta la caratteristica di pericolo HP14 si procede come nel caso precedente;
  • Per i rifiuti identificati con codice CER a specchio pericoloso e che dal 5 Luglio 2018 non sono più pericolosi occorre indicare nelle annotazioni il codice CER non pericoloso individuato a seguito della riclassificazione ed il riferimento al regolamento 2017/997;
  • Per i rifiuti identificati con codice CER a specchio non pericoloso che al 5 Luglio 2018 divengono pericolosi occorre indicare nel campo delle annotazioni il codice CER pericolosi derivante dalla riclassificazione dei rifiuti, le nuove caratteristiche di pericolo ed il riferimento al regolamento 2017/997.

Consigliamo ai produttori di procedere rapidamente alla riclassificazione dei rifiuti prodotti dai propri cicli produttivi.

Come sempre siamo a vostra disposizione per supporto e consulenza.

Ambiente&Rifiuti – Consulenza Tecnica per la gestione dei rifiuti

Ing. Vito la Forgia – v.laforgia@ambiente-rifiuti.com

Orientamenti tecnici sulla classificazione dei rifiuti

Nei precedenti articoli abbiamo più volte scritto di  quanto sia importante classificare correttamente i propri rifiuti. Lo avete fatto? Avete seguito i nostri consigli? Alcuni lo hanno fatto affidandosi ai nostri servizi di consulenza divenendo così nostri clienti, altri lo hanno fatto in autonomia ma ciò che importa davvero è essere certi di aver adempiuto ai propri obblighi.

Cosa comporta classificare correttamente i propri rifiuti?

La classificazione è un obbligo normativo che pende sulla testa del produttore di rifiuti.

Quest’ultimo, come già riportato nel D.Lgs. 152/2006 all’art. 183 comma 1 lett f) è Il soggetto la cui attività produce rifiuti e il soggetto al quale sia giuridicamente riferibile detta produzione (produttore iniziale) o chiunque effettui operazioni di pretrattamento, di miscelazione o altre operazioni che hanno modificato la natura o la composizione di detti rifiuti (nuovo produttore).

Da questa definizione ne discende facilmente che ogni singola impresa si trova nella condizione di poter essere considerata produttore del rifiuto in quanto non vi sono attività che non producono rifiuti.

Nel momento in cui un rifiuto viene prodotto questo deve essere classificato (e caratterizzato) al fine di poter attribuire correttamente il codice CER ed individuare, se pericoloso, le relative caratteristiche di pericolo.

Ancora una volta ricordiamo che far attribuire al trasportatore o all’intermediario il codice CER non è una prassi corretta e che in ogni caso eventuali responsabilità derivanti da un’errata classificazione del rifiuto e conseguente scorretta gestione dello stesso, ricadono unicamente sul produttore.

Siete ancora così sicuri di volervi affidare al trasportatore di fiducia?

Ciò premesso, la classificazione del rifiuto ha delle implicazioni molto importanti, quali ad esempio:

  • Individuazione del trasportatore autorizzato a gestirlo
  • Individuazione dell’impianto autorizzato a gestirlo
  • Costi di smaltimento
  • Tenuta dei registri di carico e scarico
  • Iscrizione al SISTRI
  • Etichettatura ed imballaggi a norma

Sono cose di poco conto? No. Queste voci incidono notevolmente sul costo di gestione di un rifiuto.

La corretta gestione dei vostri rifiuti può comportare anche una riduzione dei costi.

Obiettivo di questo articolo è quello di sottolineare l’importanza della corretta classificazione dei rifiuti anche alla luce della Comunicazione CE 2018/C – 124/01 “Orientamenti tecnici sulla classificazione dei rifiuti”

La comunicazione ha come obiettivo quello di fornire orientamenti tecnici su alcuni aspetti della direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti (direttiva quadro sui rifiuti) e della decisione 2000/532/CE della Commissione relativa all’elenco dei rifiuti (elenco dei rifiuti) come modificate nel 2014 e nel 2017.

In particolare la Comunicazione fornisce chiarimenti ed orientamenti alle autorità nazionali e locali ed alle imprese riguardo la corretta interpretazione della normativa europea in materia di classificazione dei rifiuti e l’individuazione delle corrette caratteristiche di pericolo, valutando se i rifiuti presentano qualche caratteristica di pericolo e, in ultima analisi, classificando quindi i rifiuti come pericolosi o non pericolosi.

Come già accennato in precedenza, la classificazione dei rifiuti come pericolosi o non pericolosi ha delle ricadute importanti sotto un punto di vista tecnico-burocratico-economico dal momento in cui vengono prodotti al momento in cui vengono conferiti all’impianto di trattamento finale.

Quando un rifiuto viene classificato come pericoloso scattano automaticamente una serie di obblighi ai quali il produttore deve adempiere. Primo fra tutti, ad esempio, quelli in materia di etichettatura ed imballaggio ma non solo, basti pensare al SISTRI, ADR, registri di carico e scarico, deposito temporaneo, apprestamenti per la sicurezza ecc…

Come si può osservare le implicazioni non sono poche e classificare un rifiuto come pericoloso quando invece non lo è nel tentativo di voler “risparmiare” nell’eseguire tutti i passaggi che prevede la norma per la corretta classificazione e caratterizzazione del rifiuto, può comportare invece l’effetto opposto esponendo addirittura il produttore del rifiuto, e quindi l’impresa, al rischio di sanzioni per mancato adempimento delle norme relative alla gestione dei rifiuti pericolosi.

Ancora così convinti che classificare un rifiuto come pericoloso per evitare analisi di processo e di laboratorio sia così conveniente?

L’aggiornamento normativo che consegue alla Comunicazione oggetto del presente articolo, che prende in considerazione anche i cambiamenti tecnici avvenuti nel corso degli anni nel contesto delle normative europee sulle sostanze chimiche, pone però delle sfide, interessanti da un lato ed critiche dall’altro, alle autorità ed all’industria italiana.

Questo documento per l’appunto vuole essere un primo strumento per aiutare i gestioni dei rifiuti e le autorità competenti ad avere un approccio comune alla caratterizzazione ed alla classificazione dei rifiuti.

Entrando nel vivo del documento, la Comunicazione è composta da 3 capitoli e 4 allegati.

– il capitolo 1 fornisce un contesto generale per la classificazione dei rifiuti, nonché istruzioni su come leggere gli orientamenti;

– il capitolo 2 presenta brevemente le parti pertinenti della normativa UE in materia di rifiuti, sottolineandone la rilevanza per la definizione e la classificazione dei rifiuti (pericolosi);

– il capitolo 3 presenta le fasi generali della classificazione dei rifiuti evidenziando i concetti fondamentali, ma senza entrare troppo nel dettaglio.

– l’allegato 1 fornisce informazioni sull’elenco dei rifiuti e sulla selezione delle voci appropriate dell’elenco dei rifiuti;

– l’allegato 2 presenta le diverse fonti di informazione sulle sostanze pericolose e la loro classificazione;

– l’allegato 3 descrive i principi per la valutazione delle singole caratteristiche di pericolo da HP 1 a HP 15;

– l’allegato 4 riprende i concetti fondamentali e fa riferimento alle norme e ai metodi disponibili per quanto concerne il campionamento dei rifiuti e le analisi chimiche dei rifiuti.

Tralasciando al momento i primi due capitoli che lasciamo al lettore il compito di approfondirli in autonomia, ci dedichiamo al capitolo 3.

 

 

 

 

Il capitolo 3 fornisce le modalità di approccio alla classificazione dei rifiuti.

La valutazione e la classificazione dei rifiuti sono applicate a ciascun flusso di rifiuti distinto generato da un singolo produttore, a seguito dell’ottenimento di un campione rappresentativo. Laddove sia presente più di un tipo di rifiuti, ciascuno di essi va valutato separatamente. Ciò assicura che singoli elementi o lotti di rifiuti pericolosi:

  • Non vengano classificati erroneamente come non pericolosi tramite miscelazione (o diluizione) degli stessi con altri rifiuti;
  • Siano identificati in maniera tempestiva per evitare che siano miscelati con altri rifiuti, ad esempio in un bidone, in un sacco, in un cumulo o in un cassone;

Soltanto i rifiuti urbani non differenziati generati da nuclei domestici sono esentati da tali prescrizioni.

Quali sono le fasi da affrontare per la classificazione dei rifiuti?

Fase 1

Innanzitutto si deve stabilire se la sostanza o l’oggetto in questione siano rifiuti così come definitivi nella direttiva quadro sui rifiuti-

Determinare se l’oggetto o la sostanza in questione siano considerati rifiuti ai sensi della direttiva quadro sui rifiuti è una condizione preliminare per l’ulteriore valutazione della loro pericolosità. Ai fini di tale specifica valutazione, gli orientamenti sulla direttiva quadro sui rifiuti forniscono indicazioni sulla definizione fondamentale del concetto di “scartare/disfarsi” nel contesto di detta direttiva, nonché su nozioni correlate sempre nel quadro della stessa direttiva quali ad esempio “sottoprodotto” e “cessazione della qualifica di rifiuto”;

Effettuata questa prima valutazione, si dovrà verificare se alcuni flussi di rifiuti specificati siano esclusi dall’ambito di applicazione della direttiva quadro sui rifiuti.

A titolo esplicativo riportiamo lo schema di esclusione dall’ambito di applicazione della direttiva:

Direttiva 2008/98/CE

Articolo 2– Esclusioni dall’ambito di applicazione

  1. Sono esclusi dall’ambito di applicazione della presente direttiva:
  2. effluenti gassosi emessi in atmosfera;
  3. terreno (in situ), inclusi il suolo contaminato non escavato e gli edifici collegati permanentemente al terreno;
  4. suolo non contaminato e altro materiale allo stato naturale escavato nel corso di attività di costruzione, ove sia certo che il materiale sarà utilizzato a fini di costruzione allo stato naturale nello stesso sito in cui è stato escavato;
  5. rifiuti radioattivi;
  6. materiali esplosivi in disuso;
  7. materie fecali, se non contemplate dal paragrafo 2, lettera b), paglia e altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati nell’attività agricola, nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana.
  8. Sono esclusi dall’ambito di applicazione della presente direttiva nella misura in cui sono contemplati da altra normativa comunitaria:
  9. acque di scarico;
  10. sottoprodotti di origine animale, compresi i prodotti trasformati contemplati dal regolamento (CE) n. 1774/2002, eccetto quelli destinati all’incenerimento, allo smaltimento in discarica o all’utilizzo in un impianto di produzione di biogas o di compostaggio;
  11. carcasse di animali morti per cause diverse dalla macellazione, compresi gli animali abbattuti per eradicare epizoozie, e smaltite in conformità del regolamento (CE) n. 1774/2002;
  12. rifiuti risultanti dalla prospezione, dall’estrazione, dal trattamento e dall’ammasso di risorse minerali o dallo sfruttamento delle cave contemplati dalla direttiva 2006/21/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2006, relativa alla gestione dei rifiuti delle industrie estrattive.
  13. Fatti salvi gli obblighi risultanti da altre normative comunitarie pertinenti, sono esclusi dall’ambito di applicazione della presente direttiva i sedimenti spostati all’interno di acque superficiali ai fini della gestione delle acque e dei corsi d’acqua o della prevenzione di inondazioni o della riduzione degli effetti di inondazioni o siccità o ripristino dei suoli, se è provato che i sedimenti non sono pericolosi.
  14. Disposizioni specifiche particolari o complementari a quelle della presente direttiva per disciplinare la gestione di determinate categorie di rifiuti possono essere fissate da direttive particolari.

Queste valutazioni conducono all’esaurimento della fase 1 riportata nello schema di seguito.

 

 

 

 

Fase 2

La fase 2 è relativa alla attribuzione della voce del Catalogo Europeo dei rifiuti.

Dalla classificazione, seguendo le istruzioni riportate nell’allegato D alla parte IV del D.Lgs. 152/2006, il produttore dovrebbe essere in grado di individuare il codice CER di pertinenza del rifiuto prodotto.

Da ciò ne discende che il produttore dovrebbe essere in grado di stabile se la voce da applicare è “di pericolo assoluto” o “di non pericolo assoluto” o “voce specchio”.

E’ sufficiente? No.

Il produttore che individua una voce di pericolo assoluto dovrebbe essere in grado di attribuire anche le caratteristiche di pericolo al proprio rifiuto. Tale operazione ricordiamo che non è arbitraria e che non si può svolgere estraendo a caso una o più HP da assegnare al rifiuto ma occorre seguire una metodologia ben precisa.

Allo stesso modo, se il rifiuto è classificato come “voce specchio” è necessario effettuare una ulteriore valutazione per comprende se il rifiuto sia pericoloso o meno.

L’analisi approfondita della voce a specchio ci conduce alle fasi 3, 4 e 5 riportate nello schema.

 

 

 

 

 

 

 

Fase 3

L’ottenimento di informazioni sufficienti sulla presenza e sul tenore di sostanze pericolose nei rifiuti costituisce una fase importante della classificazione dei rifiuti al fine di poter stabilire se gli stessi possono presentare caratteristiche di pericolo da HP1 a HP15. A tale fine sono necessarie talune informazioni sulla composizione dei rifiuti, indipendentemente dal metodo scelto per assegnare le caratteristiche di pericolo (calcolo o prove) come descritto nella fase 4.

Esistono modi diversi per raccogliere informazioni sulla composizione pertinente dei rifiuti, sulle sostanze pericolose presenti e sulle potenziali caratteristiche di pericolo presentate dagli stessi:

—  informazioni sulla chimica/sul processo di fabbricazione che «generano rifiuti» e sulle relative sostanze in ingresso e intermedie, inclusi i pareri di esperti (fonti utili possono essere relazioni BREF, manuali dei processi industriali, descrizioni dei processi ed elenchi di materiali di ingresso forniti dal produttore, ecc.);

—  informazioni fornite dal produttore originario della sostanza o dell’oggetto prima che questi diventassero rifiuti, ad esempio schede di dati di sicurezza, etichetta del prodotto o schede di prodotto;

—  banche dati sulle analisi dei rifiuti disponibili a livello di Stati membri;

—  campionamento e analisi chimica dei rifiuti .

Una volta raccolte le informazioni sulla composizione dei rifiuti, è possibile valutare se le sostanze identificate sono  classificate come pericolose, ossia se alle stesse è assegnato un codice di indicazione di pericolo. Al fine di determinare se le sostanze contenute sono classificate come pericolose e per saperne di più sulle classi e sulle categorie di pericolo specifiche attribuite alle sostanze a norma del regolamento CLP, fare riferimento agli orientamenti  forniti nell’allegato 2 della Comunicazione.

Fase 4

Una volta completata la fase 3, si dovrebbe disporre di informazioni sufficienti sulla composizione pertinente dei rifiuti in esame. Ciò significa che si dispone di conoscenze sufficienti in merito alle sostanze pericolose contenute nei rifiuti e alla loro classificazione (ad esempio se alle stesse sono attribuiti codici di indicazione di pericolo pertinenti a norma del regolamento CLP) tali per cui sia possibile applicare almeno uno dei seguenti metodi atti a determinare se i rifiuti presentano caratteristiche di pericolo:

—  calcolo per stabilire se le sostanze presenti nei rifiuti in esame presentano valori uguali o superiori ai limiti di soglia  basati sui codici di indicazione di pericolo (che dipendono individualmente dalle proprietà da HP4 a HP14;

—  prove atte a stabilire se i rifiuti presentano caratteristiche di pericolo o no.

L’allegato 3 fornisce una descrizione dettagliata e orientamenti sulle modalità di valutazione delle singole caratteristiche  di pericolo da HP1 a HP15, tramite calcolo o prove.

Caratteristiche di pericolo

HP1 Esplosivo

HP2 Comburenti

HP3 Infiammabile

HP4 Irritante – Irritazione cutanea e lesioni oculari

HP5 Tossicità specifica per organi bersaglio (STOT, Specific Target Organ Toxicity)/Tossicità in caso di aspi­

razione

HP6 Tossicità acuta

HP7 Cancerogeno

HP8 Corrosivo

HP9 Infettivo

HP10 Tossico per la riproduzione

HP11 Mutageno

HP12 Liberazione di gas a tossicità acuta

HP13 Sensibilizzante

HP14 Sostanze ecotossiche

HP15 Rifiuto che non possiede direttamente una delle caratteristiche di pericolo summenzionate ma può manifestarla successivamente

Fase 5

Si giunge infine alla fase 5, ultima fase della classificazione dei rifiuti come pericolosi o non pericolosi che consiste nel determinate se i rifiuti contengano uno qualsiasi dei POP indicati nell’allegato dell’elenco dei rifiuti.

Come si può osservare dall’estratto della Comunicazione di cui abbiamo riportato i passaggi salienti, la classificazione dei rifiuti è un’operazione molto più complessa della semplice assegnazione  di un codice CER ad un rifiuto fatta sfogliando il catalogo europeo dei rifiuti ma richiede uno studio meticoloso ed attento che spesso vede coinvolte più discipline.

Se siete arrivati in fondo a questo articolo vuol dire che avete preso coscienza dell’importanza della corretta gestione dei vostri rifiuti e che avete compreso come la loro gestione partecipi attivamente al bilancio aziendale. E’ pertanto importante restare sempre aggiornati sull’evoluzione normativa al fine di essere certi di aver classificato e caratterizzato correttamente i vostri rifiuti.

Non è più possibile applicare la regola del “abbiam sempre fatto così” poiché le imprese si evolvono, i processi tecnologici variano, la normativa si evolve ed occorre adeguarsi sia per poter verificare se è possibile ottenere un risparmio dalla gestione dei propri rifiuti sia per essere certi di aver adempiuto a ciò che impone la normativa sia nel rispetto dell’ambiente e della sicurezza dell’Uomo.

Al seguente link potete scaricare il testo della Comunicazione CE 2018/C-124/01

Ambiente & Rifiuti – Consulenza Tecnica per la corretta gestione dei vostri rifiuti

Ing. Vito la Forgia – v.laforgia@ambiente-rifiuti.com

Registro di carico e scarico rifiuti…l’abc

Ing. Vito la Forgia
Ambiente & Rifiuti

Torniamo agli albori della corretta gestione dei rifiuti cercando di dare delle informazioni utili sulla corretta tenuta del registro di carico e scarico rifiuti.

Il motivo per il quale questo articolo nasce è dettato dalle necessità emerse nelle imprese dove i registri di carico e scarico sono spesso affidati ad operai ed impiegati che non vengono formati adeguatamente.

Ciò accade perché la questione rifiuti è lungi dall’essere considerata come parte integrante delle attività gestionali dell’impresa e spesso gli imprenditori ritengono sia semplicemente una seccatura da affidare a qualcuno.

Cosa si trascura in un sistema gestionale di questo tipo? Sicuramente delle sanzioni a carico dell’impresa ma soprattutto del legale rappresentante che in quanto tale è responsabile della gestione dei rifiuti se non opportunamente delegata ad un responsabile ed in secondo luogo si corre il rischio di non avere sotto controllo l’andamento economico della propria gestione dei rifiuti.

Ci sono casi in cui una corretta gestione dei rifiuti ha permesso all’impresa di recuperare oltre 1000 € per ogni carico di rifiuti avviato a recupero.

Prima di iniziare ad illustrare chi sono i soggetti obbligati alla tenuta del registro di carico e scarico riteniamo utile pertanto illustrare quali sono le sanzioni alle quali ci si espone quando viene riscontrata una cattiva gestione del registro.

Omessa o incompleta tenuta del registro di carico e scarico

  • Chiunque omette di tenere o tenga in modo incompleto il registro di carico e scarico relativamente ai rifiuti non pericolosi è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da Euro 2.600,00 a Euro 15.500,00 La sanzione è ridotta da Euro 1.040,00 a Euro 6.200,00 nel caso di imprese che occupano un numero di unità lavorative inferiore a 15 dipendenti calcolate con riferimento al numero di dipendenti occupati a tempo pieno durante un anno, mentre i lavoratori a tempo parziale e quelli stagionali rappresentano frazioni di unità lavorative annue.
  • Chiunque omette di tenere o tenga in modo incompleto il registro di carico e scarico relativamente ai rifiuti pericolosi è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da Euro 15.500,00 a Euro 93.000,00 nonché con la sanzione amministrativa accessoria della sospensione da un mese ad un anno della carica rivestita dal soggetto responsabile dell’infrazione e dalla carica di amministratore.
  • La sanzione è ridotta da Euro 2.070,00 a Euro 12.400,00, nel caso di imprese che occupano un numero di unità lavorative inferiore a 15 dipendenti calcolate con riferimento al numero di dipendenti occupati a tempo pieno durante un anno, mentre i lavoratori a tempo parziale e quelli stagionali rappresentano frazioni di unità lavorative annue.

E’ chiaro quindi che l’incaricato alla compilazione del registro di carico e scarico è bene che sia adeguatamente formato al fine di evitare di incorrere in sanzioni.

Le modalità di gestione del registro di carico e scarico sono disciplinate dal DM 148/1998.

 

Sono tenuti a compilare il registro di carico e scarico ai sensi dell’art. 190, comma 1  3  e dell’art. 189, comma 3   e dell’art. 184, comma 3 lett. c), d) e g)   del D.lgs 152/2006 e successive modifiche.

  • Le imprese ed enti produttori iniziali di rifiuti pericolosi;
  • Gli imprenditori agricoli di cui all’articolo 2135 del codice civile con un volume di affari annuo superiore a € 8.000,00;
  • Le imprese e gli enti produttori di rifiuti non pericolosi derivanti da:
    • Lavorazioni industriali;
    • Lavorazioni artigianali;
    • Attività di recupero (allegato C alla parte IV del D.Lgs. 152/2006) e smaltimento (allegato B alla parte IV del D.Lgs. 152/2006) di rifiuti;
  • Fanghi derivanti da:
    • Potabilizzazione;
    • Altri trattamenti delle acque reflue;
    • Abbattimento fumi;
  • Chiunque effettua a titolo professionale attività di raccolta e trasporto di rifiuti;
  • Gli intermediari ed i commercianti di rifiuti senza detenzione;
  • Le imprese egli enti che effettuano operazioni di recupero e smaltimento di rifiuti;
  • Consorzi istituiti per il recupero ed il riciclaggio di particolari tipologie di rifiuti;
  • Il gestore del servizio idrico integrato che tratta rifiuti (art. 11, comma 7, D.Lgs. 152/2006);
  • Il gestore dell’impianto portuale di raccolta e del servizio di raccolta con riguardo ai rifiuti prodotti dalle navi e consegnati nei porti (art. 4, comma 6, D.Lgs. 182/2003).

Sono esonerati dall’obbligo di tenuta del registro:

  • Gli imprenditori agricoli di cui all’art. 2135 (produttori di rifiuti pericolosi e non pericolosi) con un volume di affari annuo non superiore a € 8.000,00;
  • I consorzi istituiti con le finalità di recuperare particolari tipologie di rifiuto che dispongono di evidenze documentali o contabili con analoghe funzioni del registro di carico e scarico (art. 190, comma 8, D.Lgs. 152/2006);
  • I produttori di rifiuti costituiti dal materiale proveniente dalla manutenzione ordinaria di sistemi di trattamento di acque reflue domestiche (art. 110, comma 3 e 7, D.Lgs. 152/2006);
  • I produttori di rifiuti pericolosi che non sono qualificabili come imprese o ente (art. 11 Legge 25/01/2006, n. 29 “Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità Europee);
  • I produttori di rifiuti speciali non pericolosi derivanti da:
    • Attività agricole e agro-industriali;
    • Attività di demolizione, costruzione e scavo;
    • Attività commerciali;
    • Attività di servizio;
    • Attività sanitarie.

Modelli di gestione del registro di carico e scarico rifiuti

I modelli oggi vigenti del registro di carico e scarico dei rifiuti sono quelli già stabiliti dal D.M. 148/98.

I modelli sono due:

  • Modello A: per i soggetti che producono, recuperano, smaltiscono, trasportano o commerciano e intermediario i rifiuti con detenzione;
  • Modello B: per i soggetti che commerciano e intermediano rifiuti senza detenzione (ossia i soggetti iscritti in categoria 8 dell’Albo Nazionale Gestori Ambientali);

I registri di carico e scarico, secondo quanto previsto dall’art. 190 comma 6 del D.Lgs. 152/2006 e ss.mm.ii, devono essere vidimati e gestiti con le procedure e le modalità fissate dalla normativa sui registri IVA.

I registri di carico e scarico prima di poter essere utilizzati devono essere registrati nel registro IVA.

Prima di poter iniziare ad annotare le operazioni di carico e scarico o di intermediazione di rifiuti è obbligatorio vidimare i registri presso le Camere di Commercio territorialmente competenti.

Si segnala che la vidimazione ha un costo di € 25,00 e che all’atto della vidimazione è obbligatorio presentare il registro di carico e scarico unitamente al modello L2.

Inoltre è obbligatorio compilare il frontespizio del registro prima della vidimazione.

Come si individua la Camera di Commercio territorialmente competente?

La Camera di Commercio territorialmente competente è quella della provincia in cui ha sede legale l’impresa o quella della provincia in cui è situata l’unità locale presso la quale viene tenuto il registro di carico e scarico.

E’ possibile tenere il registro con modalità informatiche?

I registri di carico e scarico possono essere tenuti con modalità informatiche a condizione di rispettare la frequenza delle annotazioni stabilite dalla normativa.

Modello A

Il registro di carico e scarico è un documento all’interno del quale devono essere annotate le caratteristiche chimico fisiche dei rifiuti presi in carico e scaricati. Pertanto le operazioni che dovranno esservi annotate sono di due tipi:

  • Operazioni di carico quando il rifiuto viene prodotto o preso in carico da terzi (solo per gli impianti di recupero/smaltimento)
  • Operazioni di scarico quanto il rifiuto viene allontanano per essere conferito a soggetti terzi autorizzati. Per gli impianti di recupero/smaltimento le operazioni di scarico coincidono con quanto detto prima e con le operazioni di recupero/smaltimento (da R1 a R12 e da D1 a D14).

I registri di carico e scarico sono composti da righe (in genere 2 o 3 per foglio) e da colonne.

Ogni riga deve essere utilizzata per singola operazione di carico o di scarico e per singolo codice CER.

Affinché il registro di carico e scarico sia completo è necessario che questo venga integrato con i formulari di identificazione rifiuti.

Frontespizio

Come abbiamo già detto in precedenza, prima di poter vidimare il registro, è necessario compilare il frontespizio. Quest’ultimo è composto da un serie di sezioni che devono così essere compilate:

Ditta  
  Ragione Sociale
Residenza e domicilio
Codice fiscale (che potrebbe coincidere con la partita IVA)
Ubicazione dell’esercizio
Attività svolta
Barrare la casella relativa alla propria attività
Produzione di rifiuti
Trasporto di rifiuti
Recupero di rifiuti
Smaltimento di rifiuti
Intermediazione e commercio di rifiuti con detenzione
Tipo di attività Il campo deve essere compilato solo dalle imprese che effettuano operazioni di recupero o di smaltimento e quindi dovranno essere indicate le sigle delle attività che vengono svolte (da R1 a R13 e da D1 a D15) come stabilito dall’allegato B e C del D.Lgs. 152/2006
Numero di registrazione Devono essere indicati il primo numero di registrazione e la data relativa, inserita nel registro di carico e scarico, e l’ultimo numero di registrazione e la data relativa, al momento della chiusura del registro.
Caratteristiche del rifiuto E’ un elenco meramente esplicativo delle possibili caratteristiche di pericolo dei rifiuti. Come si può osservare sui registri attualmente in uso tale elenco non è più aggiornato ed occorre rifarsi al Reg. 1357/2014 per le nuove caratteristiche di pericolo.

 

 

Casi particolari

  1. Quando l’impresa cambia sede dell’unità locale è necessario chiudere il registro di carico e scarico ed aprirne uno nuovo. La chiusura del registro avviene mediante l’annullamento delle pagine restanti non ancora compilate.
  2. Quando l’impresa cambia ragione sociale ma il luogo in cui i rifiuti vengono prodotti/gestiti ed il codice fiscale restano invariati, è sufficiente riportare i nuovi riferimenti sul frontespizio indicando gli estremi dell’atto di notifica e la data in cui è stata effettuata la variazione al Registro Imprese.
  3. Quando varia il codice fiscale dell’impresa è necessario chiudere il registro di carico e scarico ed aprirne uno nuovo secondo le modalità descritte al punto A.

Tempi di registrazione

Produttori: 10 gg dalla produzione del rifiuto e 10 gg dall’affidamento del rifiuto al trasportatore

Trasportatore: 10 gg dalla movimentazione del rifiuto

Impianto di recupero/smaltimento: 2 gg per la presa in carico di rifiuti da terzi; 10 gg dall’allontanamento del rifiuto ad impianti terzi in quanto si delineano come nuovi produttori di rifiuti.

Modello B

Il modello B, come abbiamo già anticipato deve essere compilato unicamente dagli intermediari di rifiuti senza detenzione ossia da quei soggetti che sono iscritti alla categoria 8 dell’Albo Nazionale Gestori Ambientali.

Il modello B del registro di carico e scarico rifiuti per gli intermediari è disciplinato dal DM 148/98 ed anche in questo caso è necessario procedere alla vidimazione prima di poter iniziare ad effettuare le annotazioni di carico e scarico.

La vidimazione avviene presso le Camere di Commercio territorialmente competenti ed ha un costo di € 25,00.

Prima di poter procedere alla vidimazione è obbligatorio compilare il frontespizio.

Ditta  
  Ragione Sociale
Residenza e domicilio
Codice fiscale (che potrebbe coincidere con la partita IVA)
Ubicazione dell’esercizio
Caratteristiche del rifiuto E’ un elenco meramente esplicativo delle possibili caratteristiche di pericolo dei rifiuti. Come si può osservare sui registri attualmente in uso tale elenco non è più aggiornato ed occorre rifarsi al Reg. 1357/2014 per le nuove caratteristiche di pericolo.

Tempi di registrazione

Intermediari senza detenzione: 10 gg dalla movimentazione del rifiuto

Ricordiamo che gli intermediari di rifiuti senza detenzione non hanno diritto ad una copia originale del formulario di identificazione rifiuti. L’intermediario dovrà quindi completare il registro di carico e scarico con le copie fotostatiche dei formulari.

Nei prossimi numeri approfondiremo l’argomento illustrando le modalità di compilazione del registro di carico e scarico.

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Ambiente & Rifiuti – Consulenza Tecnica per la gestione dei rifiuti

Ing. Vito la Forgia – v.laforgia@ambiente-rifiuti.com  

E’ in vigore la nuova classificazione dei rifiuti

Se ne è parlato seppur sommessamente negli scorsi mesi ed oggi finalmente entra in vigore la nuova procedura per la classificazione dei rifiuti.

Grazie al decreto competitività, decreto legge n. 91/2014 convertito con modificazioni con la legge n.116/2014 ed entrato in vigore 2014, da oggi sono valide le nuove procedure per la classificazione dei rifiuti. Le nuove procedure si concretizzano con una premessa all’allegato D della parte IV del D.lgs. 152/2006 e forniscono una serie di istruzioni che dovrebbero essere seguite per poter procedere ad una corretta classificazione dei rifiuti.

A parere di chi scrive ad ogni modo le procedure potevano essere più dettagliate, poiché in alcuni casi restano nebulose, e studiate un pochino meglio poiché nel voler seguire la scala gerarchica imposta nella nuova premessa alcune attività che oggi vengono svolte inizialmente perdono il loro valore e vengono ad essere eseguite in una fase successiva. Sicuramente ciò dipende molto dall’esperienza e dalla soggettività di chi procede alla classificazione dei rifiuti.

Ad ogni modo prima di procedere con una descrizione delle novità che sono state introdotte è bene sottolineare che a Giugno 2015 cambierà anche il Catalogo Europeo dei Rifiuti grazie all’applicazione del regolamento 1272/2008/CE sulla classificazione, imballaggio ed etichettatura delle sostanze chimiche, del regolamento 1357/2014/UE sulle caratteristiche di pericolo dei rifiuti e della decisione 2014/995/UE recante il nuovo Elenco europeo dei rifiuti. In pratica l’Unione Europea si è aggiornata al progresso delle nuove tecnologie ed all’armonizzazione delle norme (si veda ad esempio l’ADR) e tenta di raggiungere un punto di convergenza tra norme che molto spesso non si parlano, si veda ad esempio il caso di trasporto di rifiuti pericolosi in ADR e della confusione che spesso ne deriva.

Pertanto l’invito ai lettori è quello di tenersi costantemente aggiornati in questo periodo di profonda rivoluzione per adattare le proprie procedure di gestione rifiuti con le novità normative.

Diamo uno sguardo più da vicino alle novità che sono state introdotte.

  • La classificazione dei rifiuti è effettuata dal produttore assegnando ad essi il competente codice CER applicando le disposizioni contenute nella decisione 2000/532/CE. ( e non si potrebbe essere in disaccordo con ciò date le ricadute in termini di responsabilità sul produttore)
  • Se un rifiuto è classificato con codice CER pericoloso “assoluto”, esso è pericoloso senza alcuna ulteriore specificazione (ciò pone non pochi problemi nel caso in cui il rifiuto venga classificato con codice CER pericoloso e non presenti poi delle reali caratteristiche di pericolo)
  • Le proprietà di pericolo, definite da H1 ad H15, possedute dal rifiuto, devono essere determinate al fine di procedere alla sua gestione.
  • Se un rifiuto è classificato con codice CER non pericoloso “assoluto”, esso è non pericoloso senza ulteriore specificazione.
  • Se un rifiuto è classificato con codici CER speculari, uno pericoloso ed uno non pericoloso per stabilire se il rifiuto è pericoloso o non pericoloso debbono essere determinate le proprietà di pericolo che esso possiede. Le indagini da svolgere per determinare le proprietà di pericolo che un rifiuto possiede sono le seguenti:
    • Individuare i composti presenti nel rifiuto attraverso:
      • La scheda informativa del produttore;
      • La conoscenza del processo chimico;
      • Il campionamento e l’analisi del rifiuto.
    • Determinare i pericoli connessi a tali composti attraverso:
      • La normativa europea sulla etichettature delle sostanze e dei preparati pericolosi;
      • Le fonti informative europee ed internazionali;
      • Le schede di sicurezza dei prodotti da cui deriva il rifiuto (chi scrive avrebbe posto molto più in alto questa voce nelle procedure da seguire poiché è uno dei documenti principali che è possibile ritrovare dal produttore e che fornisce una prima e rapida informazione sulle caratteristiche di pericolo delle materie prime che danno poi origine, al termine dei processi di produzione, al rifiuto).
    • Stabilire se le concentrazioni dei composti contenuti comportino che il rifiuto presenti delle caratteristiche di pericolo mediante comparazione delle concentrazioni rilevate all’analisi chimica con il limite soglia per le frasi di rischio specifiche dei componenti, ovvero effettuazione dei test per verificare se il rifiuto ha determinate proprietà di pericolo;
    • Se i componenti di un rifiuto sono rilevati dalle analisi chimiche solo in modo aspecifico, e non sono perciò noti i composti specifici che lo costituiscono, per individuare le caratteristiche di pericolo del rifiuto devono essere presi come riferimento i composti peggiori, in applicazione del principio di precauzione,
    • Quando le sostanze presenti in un rifiuto non sono note o non sono determinate con modalità stabilite nei punti precedenti, ovvero le caratteristiche di pericolo non possono essere determinate, il rifiuto si classifica come pericoloso;
    • La classificazione in ogni caso avviene prima che il rifiuto sia allontanato dal luogo di produzione (chi scrive è del parere che la classificazione andrebbe fatta già al momento della produzione del rifiuto così da poter gestire correttamente il deposito temporaneo e non esporsi a sanzioni per discarica abusiva di rifiuti a causa della mancata classificazione ed etichettatura dei rifiuti).

Come si può osservare la premessa appare corposa, ma d’altro canto si è tentato di mettere in ordine pratiche che già venivano affrontate nella classificazione di un rifiuto da parte dei professionisti del settore.

Occorre ora vedere cosa accadrà nei prossimi mesi e come sarà possibile applicare in tutto o in parte questo vademecum per la classificazione dei rifiuti. Come già espresso nei commenti tra parentesi posti in prossimità di alcuni punti, sorgono delle perplessità in merito ad alcune indicazioni e possiamo auspicare che questa premessa venga rivista e riscritta, magari con qualche dettaglio tecnico in più, così da rendere più fluente la classificazione dei rifiuti e meno arbitraria possibile.

Ambiente & Rifiuti – Consulenza Tecnica per la gestione dei rifiuti

Ing. Vito la Forgia – v.laforgia@ambiente-rifiuti.com